Ieri ho partecipato all’incontro del Future Leaders Program dell’ISPI di Milano, di cui faccio parte. Abbiamo parlato di sostenibilità, un termine oramai ampiamente inflazionato ma che ha avuto una grande rilevanza a partire dal 2015 con l’accordo di Parigi.
In linea generale, quando si parla di sostenibilità, si fa riferimento sempre a tre dimensioni: la transizione energetica e quindi la decarbonizzazione (il processo di riduzione del rapporto carbonio-idrogeno nelle fonti di energia primarie), il passaggio all’economia circolare (un sistema economico che si rigenera da solo e che ha come obiettivo l’estensione della vita dei prodotti, la produzione di beni di lunga durata, le attività di ricondizionamento e la riduzione della produzione di rifiuti) ed infine la sostenibilità sociale che deve contrastare e ridurre le diseguaglianze.
Vi è anche una quarta dimensione quasi del tutto sconosciuta: la sostenibilità antropologica che mette al centro la persona. Nell’affrontare questo processo di transizione verso un mondo più sostenibile, lo sviluppo umano deve essere il centro di tutto. È importante non ledere mai la libertà e la dignità umana e quindi curare l’ambiente senza danneggiare l’uomo. La sostenibilità è tale quando, pur rispettando la natura, assicura la pace interiore delle persone senza stravolgerla. Un’economia è sostenibile quando sostiene in modo equo l’umanità intera e rispetta gli equilibri naturali.
Quindi un approccio ai temi ambientali non contro l’uomo, ma per salvare l’uomo.